Bentornati!
Dopo aver discusso
delle pellicole e delle fotocamere nei precedenti articoli, passiamo
finalmente agli esperimenti veri e propri. Stavolta vedremo in
dettaglio due abilità che è possibile acquisire solo effettuando
esperimenti con la pellicola: l’esposizione e la messa a fuoco a
stima. Si tratta di veri e propri SUPERPOTERI, inconcepibili per chi
fotografa unicamente in digitale! Se impareremo a utilizzarle bene,
queste abilità ci daranno grande soddisfazione, rendendoci i veri
artefici delle nostre immagini.
Fare a meno
dell’esposimetro: la regola del 16
Nei confronti
dell’esposimetro, i fotografi digitali si dividono in due
categorie: schiavi e vittime; gli schiavi
dipendono dalla sua precisione per esporre correttamente in modalità
manuale, mentre le vittime lasciano fare tutto alla macchina, che non
sempre otterrà i risultati voluti. I sensori delle reflex digitali e
delle mirrorless hanno una buona capacità di recuperare le alte luci
e le ombre, tuttavia necessitano sempre e comunque di un’esposizione
accurata, che i fotografi più precisi effettuano controllando
addirittura l’istogramma.
Con la pellicola
possiamo certo seguire a menadito le indicazioni dell’esposimetro,
ma in tal modo la nostra esperienza analogica non sarà poi troppo
differente da quella digitale. E’ molto più interessante e
divertente calcolare noi stessi l’esposizione, utilizzando la
“Regola del 16” (Sunny f16 rule).
Per effettuare
questo esperimento, ci servirà una fotocamera che permetta di
regolare tempi e diaframmi, priva però di esposimetro (va bene anche
un modello dove è possibile disattivarlo o ignorarlo); la
caricheremo preferibilmente con una pellicola negativa a colori o in
bianco e nero. Questo perché i negativi, rispetto alle pellicole per
diapositive, sono in grado di tollerare meglio eventuali errori di
esposizione. Effettueremo la prova all’aperto, preferibilmente in
una giornata con buone condizioni meteo. Per determinare
l’esposizione ci baseremo su di un presupposto teorico, il quale
afferma che, in condizioni di cielo perfettamente limpido, con una
pellicola di una data sensibilità e il tempo di esposizione
impostato al reciproco della stessa, l’apertura del diaframma da
scegliere per esporre correttamente sarà f16; con un cielo
leggermente nuvoloso lo apriremo a f11, e così a seguire apriremo
sempre più al peggiorare delle condizioni di luce. Poniamo ad
esempio di aver caricato la macchina con una pellicola da 100 iso:
dovremo impostare come tempo di esposizione quello che più si
avvicina a 1/100 di secondo (dipende dalla fotocamera, solitamente
avremo 1/125) e, in condizioni meteo perfette, regoleremo il
diaframma a f16. Ovviamente questa coppia tempi-diaframmi ci servirà
solo per calcolare il valore di partenza: al posto di 1/100 f16
potremmo infatti impostare qualunque regolazione equivalente, come
1/200 f11 o 1/400 f8. Per rendere tutto più chiaro, vi rimando alla
tabella a fine paragrafo (tabella1), segnalo comunque che è
possibile trovare tabelle molto più dettagliate su internet, create
da appassionati di questa tecnica e basate su ogni variazione
possibile di luminosità. Questa regola funziona al meglio quando si
fotografa all’aperto, mentre nei luoghi chiusi e con la luce
artificiale diventa tutto più difficile; in questi casi ci potrà
aiutare solo l’esperienza fatta sul campo attraverso prove ed
errori. Si tratta di un sistema che non brilla certo per precisione,
ma avremo dalla nostra la buona tolleranza del negativo. A tal
riguardo, la priorità da tenere sarà sempre quella di evitare la
sottoesposizione: le moderne pellicole per negativi infatti reggono
meglio un’eventuale sovraesposizione che il contrario. Come ho già
accennato, sulla scala dei tempi della fotocamera potremo trovare
valori diversi da quelli riportati sulla
tabella, ma questo non ci dovrà impaurire troppo; sceglieremo
il tempo che più si avvicina al valore teoricamente corretto, senza
aver troppa paura di utilizzarne uno un po’ più lento o veloce.
![]() |
TABELLA 1: indicazione dei diaframmi da impostare per le relative situazioni; in giallo valori estremi che andrebbero evitati. |
Mettere a fuoco a
stima
I moderni sistemi di
messa a fuoco automatica vantano una velocità e una precisione
incredibile, tuttavia i fotografi di un tempo riuscivano a scattare
foto perfettamente a fuoco pur utilizzando apparecchi dove l’unica
indicazione era la scala delle distanze dell’obiettivo. Forse
coloro che utilizzano sempre e solo l’autofocus saranno curiosi di
sapere come questo sia possibile...ora andremo ad approfondire!
Per svolgere questo
esperimento, ci servirà una fotocamera in cui sia possibile regolare
la messa a fuoco, priva però di qualsiasi sistema che ci indichi la
corretta regolazione. L’ideale sarebbe una macchina a mirino
galileiano, ma se abbiamo una reflex, una biottica oppure una
macchina a telemetro potremo ugualmente tentare l’esperimento;
dovremo solo sforzarci di impostare la messa a fuoco senza
verificarne la correttezza, usando il mirino solo per inquadrare.
L’esperimento si
fonda in parte sulla capacità di calcolare a vista le distanze (che
dovremo imparare), in parte su dei valori certi, ottenuti attraverso
il calcolo della profondità di campo: con questi
termini si indica la zona di immagine entro la quale i
dettagli appaiono a fuoco. Tale zona è compresa tra un limite più
vicino e uno più lontano dal fotografo, e la sua ampiezza varia in
base ad alcuni parametri relativi alla fotocamera utilizzata e,
soprattutto, al suo obiettivo. Sugli obiettivi di molte macchine
fotografiche viene riportata la già citata scala delle distanze, che
in buona sostanza indica la profondità di campo a una data apertura
per ogni regolazione della messa a fuoco; in molti casi però si
tratta di indicazioni approssimative, valide solo per alcuni
diaframmi. Per questo è utile fare una ricerca in rete, dove è
possibile trovare dei calcolatori di profondità di campo. Potete trovarne uno seguendo questo link; come vedrete, per effettuare il calcolo dovremo inserire alcuni dati: il formato
del fotogramma, la lunghezza focale in millimetri dell’obiettivo e
la distanza presunta del soggetto. Il mio consiglio è di realizzare
una tabellina basata sui valori della fotocamera e dell’obiettivo
utilizzati, sulla quale avremo la profondità di campo dei diversi
diaframmi per ognuna delle distanze metriche indicate sull’obiettivo.
Questa tabella andrebbe tenuta sempre a disposizione, portandola ad
esempio nella custodia della fotocamera. Allego a fine paragrafo un
esempio di tabella della profondità di campo (tabella2), basandomi
su una fotocamera 35mm con obiettivo standard da 50mm; come si può
vedere, la profondità di campo varia in base alla distanza a cui si
trova il soggetto, la lunghezza focale dell’obiettivo e il
diaframma impostato.
Man mano che il
punto messa a fuoco si allontana dal fotografo, la profondità di
campo aumenta. Bisognerà quindi tenere a mente che i soggetti più
lontani saranno più facili da mettere a fuoco, mentre quelli più
vicini richiedono maggiore precisione, visti i margini di errore
ridotti. La ripresa di paesaggi o scorci pertanto non pone
particolari problemi, soprattutto se impareremo a fare uso
dell’iperfocale: con questo termine si definisce la distanza
di miglior compromesso che ci permetterà, una volta impostata, di
aver nitida la maggiore porzione di immagine. Come è visibile in
tabella, ad ogni valore di diaframma avremo una distanza iperfocale
differente: più chiuderemo il diaframma, più la avvicineremo a noi.
Il nostro lavoro potrà essere facilitato utilizzando un obiettivo
grandangolare, dotato di una maggiore profondità di campo rispetto
al 50mm della tabella; in questo caso con valori di diaframma di
F8/F11 potremo riprendere numerosi soggetti a media e lunga distanza
senza neppure cambiare la regolazione della messa a fuoco.
La parte più
difficile di questo esperimento è costituita dalla stima della
distanza, che sarà necessaria in tutti quei casi in cui vorremo
mettere a fuoco un soggetto vicino a noi (generalmente una persona da
ritrarre). Parlando di stime, bisogna dire che non arriveremo mai a
livelli di precisione tali da consentirci foto a distanza inferiori
al metro; di solito, usando obiettivi standard, le distanze che
andremo a stimare varieranno tra 1 e 3 metri, ovvero le classiche
distanze utilizzate nella ritrattistica ambientata. Nello stimare la
distanza dovremo aguzzare l’occhio e imparare dagli errori; ci
potranno venire in aiuto dei punti di riferimento di cui conosciamo
le misure: le piastrelle di un pavimento, o magari la lunghezza della
carrozzeria di un’auto. Un altro aiuto ce lo fornirà il tipo di
“taglio” che vediamo nel mirino quando inquadriamo una persona
(figura intera, mezzobusto, piano americano ecc.), che varierà col
variare della distanza tra noi e il soggetto. In mancanza di meglio,
possiamo anche utilizzare il nostro passo come unità di misura!
Questa è una tecnica semplice ma piuttosto efficace: ci portiamo
vicino al soggetto che vogliamo fotografare, poi facciamo uno o più
lunghi passi indietro, considerando di percorrere a ogni passo una
distanza di circa un metro. Facendo ad esempio due passi indietro,
per avere il soggetto a fuoco dovremo regolare l’obiettivo sulla
distanza di 2 metri. Si tratta chiaramente di una misurazione
approssimativa, ma diventa particolarmente efficace utilizzando
diaframmi chiusi.
![]() |
TABELLA 2: si noti come ai diaframmi più chiusi convenga mettere a fuoco sulla distanza iperfocale. |
Queste due abilità, ingiustamente poco considerate, a mio parere possono rilanciare l’interesse verso la fotografia a pellicola, in quanto danno maggiore importanza all’elemento umano nella realizzazione dello scatto. A fotografare del resto non è solo la macchina, ma anche e soprattutto il fotografo.
A presto!
Alessandro "Prof. BC" Agrati @agratialessandro
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